Mike era decisamente british, i capelli biondi, l’occhio azzurrissimo, l’andatura un po’ rigida. Per non compromettere la cervicale messa alla prova da tanti anni passati al computer scriveva su una tastiera separata dal pc, che troneggiava trenta centimetri più in alto, sorretto da quattro bicchieri. Per decenni abbiamo condiviso la stessa fila nella sala stampa di Wimbledon, e Mike, spalle alla ’zona italiana’, ha sempre sopportato con simpatia, rassegnazione e senso dell’umorismo le nostre discussioni ad alta voce, le nostre scalmanatezze latine. L’avevo conosciuto nel 1988 a Filadelfia, al vecchio torneo organizzato allo Spectrum, a presentarci fu ‘JP’ John Parsons, a cui oggi è intitolata proprio la sala stampa dei Championships. Siamo coetanei, con lui se ne va letteralmente un pezzo di storia del giornalismo sportivo degli ultimi quattro decenni. Ma Mike ci mancherà non solo perché era un un ottimo giornalista, bravissimo a cacciare le notizie, da sempre membro dell’Itwa e impegnato a migliorare quanto possibile le condizioni di lavoro dei colleghi e il rapporto fra noi della stampa, i giocatori e gli organizzatori. Ma anche perché era una persona simpatica, sorridente, disponibile, pronto allo scherzo con un tipico tratto ironico british: sempre pungente, mai cattivo. Se ne è andato all’improvviso, facendo il lavoro che amava, ma questa è una magra consolazione. Il suo ricordo resterà sempre con noi.